2005

Fahrenheit

Fosse l'Apocalisse un fuoco che divampa
in dense nubi rosse dall'aria appena smosse,
fosse l'Apocalisse un crepuscolo rovente
che infiamma i cuori infami d'ipotesi commosse...


Venga l'Apocalisse, allora, e pietosa incenerisca
il dolore d'ogni tempo con poche e miti scosse

Anna Antolisei, 16 febbraio 2005


Mutare

Tinge la piana di color latte il cielo
rifranta rifrange la bianchezza del gelo.
Colano dai rami le ombre ad appannare
il deserto abbacinante, l'impronta da marcare.

Anna Antolisei, ottobre 2004


 Fascino
 
Vocabolario aperto
all'inizial di Fiore.
 
E   trovo il giusto lemma
per raccontar l'essenza
del vero incantamento
che ruba alla Ragione
per ridonare ai sensi
dei palpiti già estinti.
 
Anna Antolisei,   23  febbraio  2005


Per i quadri di Elena Piacentini
Se è vero che la creatività è un patrimonio, esclusivamente umano, posseduto da noi tutti e che viene poi espresso da ciascuno in misura maggiore o minore, secondo stili e metodologie artistiche molteplici ed eterogenee, va sottolineato anche come l’arte decorativa in genere, e la pittura in particolare, consentano di manifestare attraverso la forma ed il colore, con una efficacia del tutto inusitata, non solo ciò che viene visibilmente rappresentato sulla tela, ma anche il punto esatto da cui, tra i mille moti profondi dell’animo dell’artista, l’immagine stessa scaturisce.
Caratteristica innegabile ed evidente di tutta la produzione pittorica di Elena Piacentini, è proprio l’intensità emotiva che segna le sue opere; quasi che prima di abbozzare una forma, di tracciare un contorno, di combinare sulla tavolozza la ridda dei colori prescelti, intingesse - suo malgrado? - il pennello nei più intimi meandri dell’inconscio per trarre da quegli abissi umorali la vera forza che impregna ogni sua creazione.
Forza espressiva, dunque, è ciò che sostanzialmente si nota, ma sarebbe sconsiderato, superficiale e riduttivo impostare il risultato di un’osservazione critica davvero esaustiva su quest’unico elemento. Un’ulteriore, grande parte del fascino coinvolgente ed incantatore che spinge ad amare il lavoro della Piacentini, sta nel modo in cui l’Artista elabora ed esprime il suo vissuto interiore secondo un percorso emotivo che non appartiene al lei soltanto, ma che possiamo riconoscere in ciascuno di noi con sorprendente immediatezza.
Per suscitare una tale, istintiva partecipazione, l’Artista fa infatti leva sulle simbologie ancestrali che accompagnano l’Uomo, da millenni, nel suo sofferto percorso di crescita. E sono principalmente due, Acqua ed Aria, gli elementi che la Piacentini usa elaborare, rivelandone sempre diversi significati, durante la globalità del suo percorso pittorico.
Acqua, enunciata in forma liquida nei paesaggi marini; acqua solidificata in neve dove i panorami si fanno invernali, dove il gelo è palpabile quanto i cristalli di sale che costituiscono una reale materia dei dipinti; acqua nebulizzata, acqua-vapore che stempera e sfuma la vivacità dei tratti e del colore laddove il rappresentato si tinge d’una struggente nostalgia, o del melanconico velo che copre con la stessa inclemenza - o forse gentilezza? - tanto la lucidità del ricordo, quanto l’impossibilità di rispondere agli infiniti “perché” che si agitano ben oltre la portata del razionale.
Aria, poi. Aria presente nell’esultare della spuma delle onde; aria che languisce per fare da impalpabile, trasparente sfondo a due peonie in un vaso, a quattro melograni nudi nella loro innocente perfezione; aria che attanaglia, invece, come una morsa invisibile l’angoscia della madre di Beslan.
E’ sorprendente, insomma, come nei suoi dipinti Elena Piacentini sappia miscelare e fondere questi due elementi essenziali, descrivere l’analogica fratellanza tra esteriorità-natura e interiorità-sentimento. Non c’è una sola tra le sue opere figurative che, trasudando un’emotività potente e delicata assieme, si estranei dalla metafora del vissuto, trasformando anche i momenti di quiete o di stasi umorale in immagini sature di senso dell’attesa.
Ne fornisce un mirabile esempio proprio il quadro intitolato “Stasi”, dove le stratificazioni prospettiche di un paesaggio marino in apparenza fermo, non sono che preludio o conseguenza dell’esplosione di “L’onda”, o del fermento turbinoso di “Acqua” in entrambe le sue affannose versioni. E nei dipinti in cui il colore si uniforma, si fonde in un’unica scala di grigi e bruni (“Rapallo, il castello” – “Campo innevato” – “Paesaggio d’autunno” – “Bufera di neve” – i vari trittici invernali...), l’assenza di presenze umane e l’intuizione appena del moto naturale, evocano quella solitudine dai confini indefiniti sia nel tempo, sia nello spazio, impossibile da eludere per chiunque sappia cimentarsi in un intenso rapporto con la propria unicità.
A tante presenti assenze così discretamente dichiarate, non solo si contrappone poi la vera e propria deflagrazione del già citato “L’onda” assieme alle vorticose profondità di “Acqua” e dell’inquietante “Linea Rossa”, ma un’emotività ricca d’altre fisionomie ancora si esterna nei dipinti dove fanno da protagoniste le figure singole, mai entità del tutto inanimate. “I corvi” sono, più che mai nell’opera della Piacentini, cupi annunciatori di una pena indistinta; l’intrico insolubile di “Rovi” parla di spinose memorie addolcite appena dal fiore vivo della speranza; le sezioni interne ed esterne di “Melograno” dettano la meraviglia d’un cuore ancora palpitante celato sotto la scorza rugginosa, ferita ed abrasa dal tempo; “Ombre” è un piccolo, immacolato capolavoro di verità che spiega quanto anche le mille trafitture che il Male sa infliggere possano stemperarsi laddove il terreno di tanta, feroce semina, è un animo tinto di purezza.
Impossibile non tornare all’origine, accennando ancora agli elementi primordiali, quando lo sguardo si posa sui cieli di “Sera d’estate” o, appunto, di “Cielo d’estate”. Qui l’elemento è principe è nuovamente l’Aria, ma ecco che, nelle pennellate d’arancio che incendiano le nubi, divampa, vigoroso ed inequivocabile, l’elemento Fuoco a raccontarci di una passione tanto rovente da innalzarsi ben al di sopra, e al di là, di ogni ragionevole ancoraggio terreno. Terra, dunque, vista e dipinta come indispensabile fattore di solidità, come utero di robuste radici mai rinnegate, né mai dimenticate.
Complete, dunque, sono le simbologie; completa e vitale è la gamma dei sentimenti che affiorano dall’immagine effigiata. Completa viene ad essere l’arte stessa di Elena Piacentini che, vuoi nella tecnica pittorica, vuoi nei temi scelti per liberare il suo talento, si dimostra una pittrice assai più matura di quanto la sua reale età anagrafica non dica. Si parla, qui, di una maturità, narrata attraverso l’immagine, con la gentilezza propria del femminile sposato alla forza dell’ “animus” maschile junghiano, a riprova del fatto che la Persona vera, e più che mai l’Artista autentico, sanno prescindere da ogni collocazione, da ogni etichetta voglia imprigionarli in uno schema tristemente, banalmente standardizzato.

Anna Antolisei

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